1. Quartirolo Lombardo Dop storia millenaria

    September 30, 2021 by Giancarlo Spadini

    Citato più volte dal Manzoni nei Promessi Sposi, il Monte Resegone, con il suo inconfondibile profilo a sega, sovrasta le vallate prealpine tra Bergamo e Lecco. Ed è proprio qui che, nell’Alto Medioevo, intorno al X secolo, vede la nascita quello che poi sarebbe diventato il Quartirolo Lombardo Dop. Lontano dai territori dove si susseguivano le invasioni barbariche, gli abitanti di questa zona allevavano le mandrie e curavano i prati seguendo il ritmo scandito dalla natura.

    Durante i mesi estivi, i mandriani facevano soggiornare il bestiame in montagna per riportarlo nelle stalle prima dell’arrivo del gelido inverno. Come ricompensa della faticosa discesa a valle, agli animali veniva fatta mangiare l’erba fresca, cresciuta dopo il terzo taglio e per questo chiamata erba quarticola.
    Questa erba di fine stagione, carica dei profumi dell’estate, non solo ha dato il nome al formaggio ma anche quelle caratteristiche che l’hanno reso unico. Ancora oggi, durante l’estate, prosegue il rituale di tornare sui monti a far pascolare vacche e buoi e la produzione del Quartirolo Lombardo è assicurata tutto l’anno.

    Con una storia millenaria alle spalle, il Quartirolo Lombardo è arrivato sulle tavole mantenendo sempre viva la tradizione e i valori legati alla sua terra. Apprezzato sia fresco che stagionato, riconoscibile per quella sua consistenza “gessata” e dal gran gusto, oggi ne vengono prodotti da 200.000 a 300.000 chilogrammi al mese.

    La maggior parte della produzione viene consumata in Italia, mentre la parte venduta fuori dai nostri confini è diretta soprattutto verso i mercati del Sud Est Asiatico e del Sud America.

    Dagli 11 produttori originari di strada ne è stata fatta. Oggi i caseifici sono una ventina a cui si affiancano le oltre dieci aziende per la stagionatura e un’ottantina di aderenti che, pur non essendo associate al consorzio, ne accettano le regole e si dedicano alla commercializzazione. L’impegno di tutti è quello di assicurare uno standard qualitativo alto e metodi di produzione all’altezza di questa specialità, stando però sempre ai passi coi tempi.

    Un formaggio come il Quartirolo Lombardo, dal sapore leggermente acidulo aromatico nel formaggio in prima stagionatura e più aromatico in quello maturo, si abbina molto bene a un vino bianco fresco e sapido, con un retrogusto pacato di spezie dolci come il Quinto Quarto bianco di Franco Terpin. Oppure con note delicate di fiori bianchi e balsamiche, per esempio il Lugana i Frati di Cà dei Frati. Perfetto anche un rosato leggero, con una gradazione intorno ai 10°, dall’aroma rotondo e speziato, molto in stile provenzale come potrebbe essere il RRose Sélavy rosato da uve Frappato, azienda agricola Pianogrillo.


  2. Campania: i magnifici quattro

    August 20, 2021 by Giancarlo Spadini

    La Campania è una regione di antiche tradizioni vitivinicole che in tempi recenti ha saputo dare vita a vini di altissimo livello sia dai vitigni a bacca bianca che rossa.
    Quattro sono i fiori all’occhiello dell’enologia campana, ossia Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Taurasi e Aglianico del Taburno.

    Taurasi Docg

    Il Taurasi è il principale vino rosso campano, Docg dal 1993: è ottenuto dal vitigno Aglianico, per almeno l’85% della sua composizione, a cui si possono aggiungere uve provenienti da altri vitigni a bacca rossa per un massimo del 15%. La zona di produzione comprende 17 comuni della provincia di Avellino che si snodano tra le ricche e splendide colline dell’Irpinia.
    Il suo nome deriva dall’antico villaggio denominato Taurasia, una delle ventuno città-campagna fondate dagli irpini, celebre per i suoi terreni ricchi e indicati per la coltivazione della vite Ellenica.
    Oggi, nell’area dove si sviluppò questo insediamento, sorge il comune di Taurasi, una delle zone d’elezione per la produzione dell’omonimo vino.
    Il Taurasi Docg deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento di almeno tre anni, di cui uno in botti di legno nella versione base, mentre servono quattro anni con diciotto mesi in botte per la versione Riserva. Nelle due tipologie, il Taurasi è un vino corposo e strutturato, complesso e tannico, adatto ad un lungo invecchiamento, armonico, pieno e dai profumi tipici, rotondi e persistenti.
    Inconfondibili le sue note speziate, di vaniglia e liquerizia, in perfetta armonia con eleganti sentori di frutti di bosco, marasca e amarena.

    Aglianico del Taburno Docg

    L’Aglianico del Taburno è un altro grande vino rosso campano, Docg a partire dal 2011. Come il Taurasi, è ricavato da uve Aglianico, per almeno l’85% della sua composizione, a cui si possono aggiungere altre uve a bacca nera, per un massimo del 15%.
    La zona di produzione comprende 13 comuni della provincia di Benevento, che si sviluppano sulle pendici del massiccio montuoso del Taburno (da qui la seconda parte del nome della denominazione), un’area dove la coltivazione delle vite ha origini antichi risalenti al II secolo a.C..
    L’Aglianico del Taburno Docg può essere prodotto nella tipologia rosso base, Riserva e rosato.
    Il rosso base deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento di almeno due anni; tre anni, di cui uno in botti di legno e sei mesi in bottiglia per la versione Riserva.
    L’Aglianico del Taburno Docg, nelle versioni rosso e Riserva, è un vino rubino carico, corposo, tannico, secco e persistente con profumi di frutti rossi, tipici del vitigno Aglianico, in perfetta armonia con note speziate originate dall’invecchiamento. Fresco e delicato nella versione rosato, con i classici aromi fruttati.

    Greco di Tufo Docg

    Il Greco di Tufo è uno dei grandi vini bianchi della Campania, Docg dal 2003.
    Si ottiene dal vitigno a bacca bianca Greco Bianco, per almeno l’85%. Può, inoltre, concorrere alla sua produzione un altro vitigno a bacca bianca tipico della regione, ovvero il vitigno Coda di Volpe, per un massimo del 15%.
    La zona di produzione della denominazione comprende 8 comuni in provincia di Avellino, in Irpinia, una zona collinare notoriamente vocata per la produzione di vini di qualità.
    Tra i comuni d’elezione c’è anche quello di Tufo, da cui deriva il nome della Docg, un toponimo che rimanda alla roccia vulcanica del tufo, presente diffusamente nel sottosuolo di tutta quest’area e che definisce le principali caratteristiche di questo vino.
    Il Greco di Tufo Docg può essere prodotto in due versioni: fermo e spumante. Nel primo caso si caratterizza per una delicata sapidità e mineralità, capace di esaltare i suoi gradevolissimi profumi fruttati, di agrumi e mela, e gli eleganti sentori di fiori di ginestra.
    Nella versione spumante presenta un perlage fine, elegante e persistente, con il classico patrimonio aromatico fruttato a cui si aggiunge un delicato sentore di lievito.

    Fiano di Avellino Docg

    Il Fiano di Avellino è Docg dal 2003 e rappresenta, con il Greco di Tufo, la punta di diamante dell’enologia bianca meridionale. Si ricava per almeno l’85% dal vitigno Fiano.
    Alla sua produzione possono concorrere anche altre uve, per un massimo del 15%, provenienti dai vitigni Greco, Coda di Volpe o Trebbiano Toscano.
    L’area di produzione si estende per 26 comuni della provincia di Avellino, a dimostrazione del legame indissolubile con il suo territorio d’origine.
    Acidità, finezza, personalità e una grande capacità d’invecchiamento sono le caratteristiche distintive di questo grande vino bianco, capace anche di sprigionare un bouquet fruttato che conquista gusto e olfatto.


  3. Le Pecorelle corinaldolesi (provincia di Ancona)

    October 1, 2014 by Giancarlo Spadini

    Le Pecorelle sono dolci da forno tipici di Corinaldo (AN) in uso nel periodo natalizio, farciti con un impasto a base di mostro cotto.

    Preparazione:
    si preparano piccoli rotoli di impasto che poi vengono avvolti nella sfoglia, dando la forma di mezzaluna, a ricordare una pecorella acciambellata nell’ovile.

    Per il ripieno:
    mostro cotto, noci tritate, bucce di arancia e limone tritate, zucchero, cannella e pane grattugiato per addensare l’impasto.

    Per la sfoglia (sottile):
    Farina, zucchero, vino bianco tiepido e olio di oliva.


  4. Carne m’pegnata

    September 1, 2014 by Giancarlo Spadini

    ricetta_038_bbb_ricettaLa carne m’pegnata è un piatto tipico di Acquaviva Picena nelle Marche da gustare durante il periodo primaverile.

    Anticamente, quando in inverno si macellava il maiale, le parti meno nobili del suino (orecchie, grugnetto, punta di petto, guanciale) venivano fatti a pezzettoni, soffritte in padella con sale pepe (o peperoncino) aglio e rosmarino.
    Dopo che si era rosolata ben bene la carne, lo strutto formatosi nel frattempo, ed i pezzettoni (una volta tiepidi), venivano versati in contenitori di vetro, chiusi ermeticamente e messi a conservare al buio.
    Nei mesi primaverili la verdura di stagione (i carciofi in questo caso) veniva cotta insieme con alcune cucchiaiate di strutto e pezzettoni di carne (in  dialetto: lu grass e magr) dando così consistenza e vita ad un piatto unico nel suo genere, secondo e contorno insieme, un piatto molto economico ma ricco di calorie ed energia.

    Oggi è preferibile una volta soffritta la carne, cucinare i carciofi in poco olio extravergine di oliva, ed abbinarli successivamente al fini di eliminare qualche caloria.


  5. Come si fa un cappuccino perfetto?

    July 12, 2014 by Giancarlo Spadini

    Nikon D50Dipende dalle misure. E dal tipo di latte.

    Secondo l’Istituto nazionale espresso italiano, servono 25 millilitri di caffè espresso e 100 millilitri di latte intero freddo, da montare con il vapore per ottenere molta schiuma soffice.
    Per un cappuccino perfetto è meglio usare il latte fresco pastorizzato, perché la bassa temperatura a cui deve essere conservato, dalla produzione al consumo, assicura un’emulsione migliore. In alternativa, ci sono i latti specifici per cappuccino che danno ottimi risultati perché hanno un tenore elevato di proteine e panna.

    Esiste anche un campionato mondiale di decorazione del cappuccino: il World latte art championship per premiare la sempre più diffusa latte art. Cuori e fiori, personaggi di cartoon, motivi astratti e messaggi.


  6. Profumo extravergine

    November 1, 2013 by Giancarlo Spadini

    Frantoi aperti al Poggiolo della Monini, luogo di produzione e magico casale per assaporare l’olio di qualità

    Arriva l’olio nuovo!
    Un antico casale racchiuso nel cuore dell’Umbria.
    Sulle colline vicino a Spoleto, il Frantoio del Poggiolo dell’oleificio Monini: 40 ettari di terreno e un impianto secolare di 5500 olivi. Un vero laboratorio del gusto che per tutto il mese di novembre apre le porte agli amanti dell’extravergine, in occasione della manifestazione Frantoi Aperti. Una serie di week-end tra borghi medioevali dedicati al prezioso prodotto enogastronomico, per scoprire i magici colori dell’autunno e assaporare le tradizioni regionali. E parlando di culture e radici, non può mancare l’azienda che dal 1920 è sulla tavola degli italiani con un olio nato dall’amore per la qualità.
    Una passione da vivere al Poggiolo, tempio per la produzione dell’oro giallo e luogo di incontri, seminari e conferenze per gli operatori.


  7. Sulla tavola gli opposti vanno meglio

    March 31, 2013 by Giancarlo Spadini

    I buongustai sanno quanto una bistecca ben si sposi con un bicchiere di vino. Ma un team della Rutgers University (USA) ha voluto provarlo scientificamente.

    Carni. Il segreto è nel contrasto tra l’effetto astringente del vino e il grasso delle carni, agli estremi opposti di uno spettro sensoriale.
    Gli scienziati hanno chiesto a volontari le sensazioni provate nel palato alternando tè e salame. Questa sperimentazione ha confermato che bevande con un debose effetto astringente lasciano una sensazione di secchezza, sorso dopo sorso, bilanciata da quella di grasso.
    Questa tendenza a cercare un bilanciamento, spiegano, può servire a mantenere una diversità di alimenti nella dieta.


  8. Sagrantino DOCG

    December 17, 2012 by Giancarlo Spadini

    sagrantinoSulla carta sembra un vino difficile, spigoloso, chiuso, sicuramente non per molti. Eppure il Sagrantino da diversi anni spopola un po’ ovunque.
    Pare sia molto apprezzato dai russi, che amano acquistare le annate migliori e inserirlo nelle cantine più pregiate.
    Lo bevono dalla East alla West Coast americana, dove è spesso considerato, con grande familiarità, un prodotto di qualità che rispecchia il top italiano. Ma ancora oggi nel Belpaese c’è chi non sa neanche che le uve sagrantino al 100% rappresentano il fiore all’occhiello della viticultura in Umbria.
    Coltivate in posti meravigliosi intorno a Bevagna, Montefalco e altri piccoli comuni limitrofi, la cui storia è attorniata da grappoli che sembrano dipinti.

    CARATTERISTICHE:
    Da vitigno autoctono Sagrantino 100%, di colore rosso rubino intenso e riflessi violacei, aroma molto persistente con sentori di mora di rovo, prugna e cuoio che si legano perfettamente con la vaniglia data dal legno.
    Gusto possente, morbido e vellutato.

    ABBINAMENTO:
    Tipico dei vini di grande stoffa: con arrosti, cacciagione e piatti internazionali, servito tra i 18 e i 20 gradi stappandolo almeno 2 ore prima.


  9. Olio novo

    December 17, 2012 by Giancarlo Spadini

    Quando arriva l’olio nuovo provo sempre un’emozione particolare. Quella che solo la natura, con le sue primizie, può dare.
    Oggi molti prodotti sono disponibili tutto l’anno, ma ne esistono ancora alcuni stagionali, mentre altri, come il vino e l’olio, sempre fruibili, cambiano sapore a seconda del periodo.
    Il novello ad esempio, mantiene le sue caratteristiche per un breve periodo, poi comincia a maturare, lo stesso vale per l’oro giallo.
    Appena estratto dall’oliva ha un accento piccantino, più o meno forte e acre a seconda delle varietà e del grado di maturazione del raccolto.
    L’olio nuovo non è un semplice condimento per cucinare pasta, carne e verdure, ma diventa protagonista su una fetta di buon pane casereccio e ottimo per un pinzimonio di sedano, carote e topinambur. Va bene perfino degustato tal quale, direttamente dal cucchiaio, così sfizioso e frizzantino, ricco di sapore e personalità.
    Come per i calici di rosso o bianco, però, per apprezzarlo occorre una certa preparazione, e per preservarne le sfumature va conservato in un luogo fresco, al riparo dalla luce.


  10. Le carote di Polignano

    January 16, 2012 by Giancarlo Spadini

    Difficile pensare che qualcuno arrivato a Polignano a Mare, pochi chilometri a sud di Bari, volti le spalle alle alte scogliere, dove si affacciano le bianche case della cittadina per andarsene nell’entroterra.
    Eppure visitare la Puglia solo per la bellezza delle coste sarebbe un errore. L’agricoltura del Tavoliere pugliese è ancora una realtà forte, vitale, variegata: non tutto è olivo.
    Qui a Polignano ad esempio il salmastro, il rosmarino, la macchia mediterranea si mescolano al sentore vero, antico di terra umida e fertile. In quest’area sopravvive una coltura che Slow Food ha deciso di aiutare: è quella delle carote di Polignano. La particolarità è data dal fatto che sono carote dai molti colori: arancione, giallo tenue, giallo intenso, fino ad arrivare al viola scuro. Il seme della carota viene ancora selezionato dai contadini e dunque l’ortaggio non ha il colore arancio stabilizzato delle industrie sementiere. I contadini scelgono ogni anno le piante migliori, le pongono a dimora in piccoli appezzamenti separati e scelgono i semi delle più floride.
    E le ripiantano dal 15 agosto al 15 settembre, senza badare al colore: così al raccolto si hanno carote di media lunghezza (dai 15 ai 22 centimetri) che presentano un’infinità di sfumature. Ma la straordinarietà di questa coltivazione sta nel sapore. I campi tendenzialmente sabbiosi presentano un salinità media piuttosto alta e questa salinità viene esaltata dall’irrigazione che si effettua attingendo acqua salmastra. La si pompa da un pozzo in pietra, scavato a mano, che alla profondità di 12 metri è in comunicazione con le prime infiltrazioni marine. E infatti il ciclo delle irrigazioni segue quello delle maree.
    Quando si addentano queste carote appena colte, si ha una nettissima sensazione di sapidità e di frescura. La fase più faticosa e delicata del processo è indubbiamente la raccolta, che si fa a partire dalla fine di novembre. Tutta a mano, utilizzando un forcone per smuovere la terra attorno alla pianta, che viene estratta con cura, collocando il fusto in cassette piene d’acqua salmastra. L’acqua nelle cassette viene continuamente agitata da pistoni mossi da un motorino di lavatrice e alimentata di nuova acqua, sino a che non risulta pulita e le carote perfettamente lavate. Dopo tutto questo lavoro le carote di Polignano vanno al mercato dove spuntano un prezzo che è solo qualche centesimo in più delle normali: così un patrimonio di biodiversità e di gusto rischia letteralmente di sparire.